Chi siamo realmente? Qual'è la nostra vera natura? Semplice: siamo il desiderio di essere felici. Vale a dire, tutti vogliamo ricevere piacere, godere. E questo viene chiamato dalla Kabbalah «il desiderio di ricevere». "Il desiderio di ricevere piacere costituisce l’intera materia della Creazione, dal suo principio alla sua fine…Tutte le miriadi di creature e le loro varietà non sono altro che valori stimati e modificati del desiderio di ricevere." (Il Kabbalista Yehuda Ashalag, alias Baal ha-Sulam, “Prefazione alla saggezza della Kabbalah”). Il desiderio di ricevere è molto più complesso di quello che possiamo supporre. Non è solamente un desiderio costante che ci spinge a cercare la felicità; questo desiderio di ricevere è quello che ci motiva a fare tutte le cose. Inoltre, il desiderio di ricevere cerca soddisfazione in ogni momento, non ci dà mai tregua. Esso determina anche il nostro umore. Ma c'è un problema: una volta che il nostro desiderio di ricevere è colmato, il piacere che sentiamo, gradualmente sparisce. Oscar Wilde certamente sapeva questo perché scrisse, "In questo mondo ci sono solo due tragedie. Una è non riuscire ad aver quello che si vuole, e l’altra è riuscirci. La seconda è ben peggiore; la seconda è una vera tragedia". La Kabbalah spiega la meccanica di questo processo: all’inizio vogliamo una cosa e facciamo degli sforzi per ottenerla. Nel momento in cui otteniamo quello che abbiamo tanto desiderato proviamo piacere, gioia, delizia, o, per dirla nel linguaggio della Kabbalah, il primo incontro tra il desiderio e il suo appagamento è il culmine del piacere. Fin qui tutto a posto, però il processo non è terminato. Nel momento in cui otteniamo ciò che desideriamo, il desiderio diminuisce. In altre parole, pian piano cominciamo a non desiderare più ciò che abbiamo raggiunto e, come risultato, il nostro piacere inizia a offuscarsi fino a scomparire totalmente. Passiamo degli anni sognando una bella macchina sportiva e appena l’otteniamo siamo pieni d’eccitazione, per alcune ore o alcuni giorni. Però presto ci ritroviamo a goderne meno ogni giorno che passa finché non ci dà più nessun piacere. Il professore Richard Easterlin, un pioniere nella ricerca sulla felicità, chiama questo fenomeno “adattamento edonista”. Significa: «Abbiamo una macchina nuova, e ci abituiamo. Abbiamo dei vestiti nuovi, e ci abituiamo anche a questi… Ci abituiamo velocemente ai piaceri raggiunti». Questo però non può essere il finale, non è vero? Tutti quanti aneliamo ad un piacere duraturo. La Natura ci ha messi per caso in un circolo vizioso che ci mantiene infelici per sempre? No di certo. E la Kabbalah ci insegna che la Natura non è per niente crudele; infatti, il suo unico desiderio è quello di donarci la felicità che cerchiamo. Il proposito della Natura è quello di permetterci di arrivare a una vera, completa e durevole felicità. Siamo molto più vicini alla meta di quello che pensiamo. Tuttavia la felicità non ha niente a che vedere con quanti soldi facciamo o quanto riuscito sia il nostro matrimonio. E non ha niente a che vedere con qualsiasi altro piacere che cerchiamo di ricevere. La felicità permanente può essere percepita soltanto se si usa un principio differente di godimento. A questo punto, la Kabbalah ci aiuta a risolvere il problema della felicità alla sua radice. Abbiamo già visto perché non ricaviamo un piacere duraturo da una cosa: perché appena il piacere incontra il desiderio, il desiderio si neutralizza. E, siccome il desiderio è neutralizzato, non sentiamo più il piacere. Allora, il segreto della felicità, come spiega la Kabbalah, è quello di aggiungere un ingrediente a questo processo, l’ingrediente dell’“intenzione”. Questo significa che, pur continuando a volere come prima, imponiamo una giusta direzione al nostro desiderio: lo dirigiamo verso l’esterno, come se stessimo donando ad un'altra persona. In altre parole, questa intenzione fa diventare il nostro desiderio un passaggio per il piacere. Dunque, il piacere che sentiamo non finirà; continuerà attraverso il nostro desiderio, seguendo la nostra intenzione. Così il nostro desiderio potrà ricevere continuamente forza, senza mai estinguersi. Questa è la formula per il piacere senza fine, la felicità infinita. Quando un individuo applica questa formula, passa attraverso una transizione profonda e inizia a sentire piaceri differenti.. La Kabblah li chiama “spirituali”, e sono piaceri infiniti. In conclusione, cos’è la felicità? È quello che sentiamo quando appaghiamo il nostro “desiderio di ricevere”. Perché il desiderio presto si eclissa? Perché il piacere fa diminuire il nostro desiderio, e senza desiderio non possiamo provare piacere. Allora, qual'è la formula per il piacere senza fine? Aggiungere una “intenzione di dare” al nostro “desiderio di ricevere”. In tal modo, il piacere continuerà a fluire attraverso il nostro desiderio, ad oltranza. La vera felicità si fa sempre più vicina, mentre impariamo come sentirla e come aggiungere un’intenzione al nostro desiderio. Studiando la Kabbalah acquisiamo in modo naturale questa intenzione spirituale e cominciamo a ricevere come la Natura vuole che facciamo. È per questo che “Kabbalah” in ebraico vuol dire “ricezione”: è la saggezza che ci insegna a ricevere in modo positivo.
Daniele Barbarotto
Nessun commento:
Posta un commento