Il lavoro è diritto. Lavorare meno ore ma tutti. La disoccupazione è sinonimo di disperazione. Questo occorre farlo capire ai nostri governanti e ai deputati che ci rappresentano in Parlamento. Tutti devono poter fruire del diritto al lavoro secondo le loro attitudini, le possibilità fisiche e le capacità mentali. Se proprio non c'è lavoro, a tutti deve comunque essere garantito un salario minimo per la sopravvivenza. Il diritto al lavoro è sancito dalla Costituzione Italiana, dove viene anche sottolineato il suo valore morale e civile. La centralità del lavoro è fuori discussione, almeno nella carta costituzionale. Prescindendo dalle chiacchiere sociologiche e filosofiche, il lavoro è il principale mezzo con cui l'essere umano diventa se stesso, si realizza. Senza lavoro un individuo si sente un fallito e deve sopportare un pesantissimo e stressante cumulo di preoccupazioni, che a volte sfocia in gesti disperati come il darsi fuoco o il suicidio. Senza lavoro, parliamoci chiaro, una persona vede compromessa la propria dignità morale. Per fortuna, in Italia abbiamo la libertà per tutti, e perché invece il lavoro non è ancora un diritto per tutti? Il lavoro e la libertà formano un tutt'uno inscindibile. Il lavoro senza libertà è schiavitù e la libertà senza lavoro è un'illusione. La libertà senza lavoro è una libertà limitata, una libertà monca, una libertà falsa. Insomma, una presa in giro! L’Articolo 1 della Costituzione riguarda il lavoro e recita: "L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro". Quindi bisogna, a tutti i costi, trovare i mezzi che occorrono per realizzare a tutti gli effetti questa affermazione. La disoccupazione è un dramma inammissibile in un Paese moderno, evoluto e realmente democratico.
Di tanto in tanto qualche uomo politico, in Italia o all'estero, depreca l'alto tasso di disoccupazione, promettendo provvedimenti per farlo scendere. Ma che me ne frega del tasso! Fino a quando in una nazione c'è anche soltanto un disoccupato, quella nazione è incivile. La disoccupazione è un incubo, una calamità, una peste. La disoccupazione è un malanno, una malattia devastante. Coloro che ne parlano, comodamente seduti in un salotto televisivo, normalmente non si rendono conto delle baggianate che dicono. La realtà che costoro sembrano ignorare è che la disoccupazione è fonte di disperazione e causa di tanti guai. Eppure ci sono ineffabili commentatori i quali sostengono che oggi la disoccupazione non è poi così drammatica come quella dei decenni passati. Costoro mentono, che ne siano coscienti o meno. Per farla breve, chi non ha un lavoro, cosa dovrebbe fare se proprio non lo trova pur mettendo sottosopra una città o una regione? Tutti i politici dovrebbero ficcarsi in testa che la disoccupazione è sempre e comunque una sciagura. La disoccupazione è deprecabile, è la vergogna di un popolo, è la sovversione del diritto. I disoccupati si sentono vuoti, si sentono menomati, si sentono improduttivi. E più facilmente imboccano le strade del vizio, come quello di ubriacarsi o di drogarsi. La disoccupazione è causa diretta o indiretta di infelicità, di depressione, di squilibri psicologici. La disoccupazione è una causa di reale turbamento sia per i giovani che per i meno giovani (questo lo dicono anche gli psicologi). Il lavoro è necessario a tutti e tutti devono averlo. Senza se e senza ma. L'ideale sarebbe rivedere la Costituzione e affermare con maggior forza e chiarezza il sacrosanto diritto al lavoro, diritto scontato e inalienabile. Come viene garantito il diritto alla salute e allo studio, allo stesso modo deve essere garantito il diritto al lavoro.
Daniele Barbarotto
Di tanto in tanto qualche uomo politico, in Italia o all'estero, depreca l'alto tasso di disoccupazione, promettendo provvedimenti per farlo scendere. Ma che me ne frega del tasso! Fino a quando in una nazione c'è anche soltanto un disoccupato, quella nazione è incivile. La disoccupazione è un incubo, una calamità, una peste. La disoccupazione è un malanno, una malattia devastante. Coloro che ne parlano, comodamente seduti in un salotto televisivo, normalmente non si rendono conto delle baggianate che dicono. La realtà che costoro sembrano ignorare è che la disoccupazione è fonte di disperazione e causa di tanti guai. Eppure ci sono ineffabili commentatori i quali sostengono che oggi la disoccupazione non è poi così drammatica come quella dei decenni passati. Costoro mentono, che ne siano coscienti o meno. Per farla breve, chi non ha un lavoro, cosa dovrebbe fare se proprio non lo trova pur mettendo sottosopra una città o una regione? Tutti i politici dovrebbero ficcarsi in testa che la disoccupazione è sempre e comunque una sciagura. La disoccupazione è deprecabile, è la vergogna di un popolo, è la sovversione del diritto. I disoccupati si sentono vuoti, si sentono menomati, si sentono improduttivi. E più facilmente imboccano le strade del vizio, come quello di ubriacarsi o di drogarsi. La disoccupazione è causa diretta o indiretta di infelicità, di depressione, di squilibri psicologici. La disoccupazione è una causa di reale turbamento sia per i giovani che per i meno giovani (questo lo dicono anche gli psicologi). Il lavoro è necessario a tutti e tutti devono averlo. Senza se e senza ma. L'ideale sarebbe rivedere la Costituzione e affermare con maggior forza e chiarezza il sacrosanto diritto al lavoro, diritto scontato e inalienabile. Come viene garantito il diritto alla salute e allo studio, allo stesso modo deve essere garantito il diritto al lavoro.
Daniele Barbarotto
1 commento:
Per completezza, inserisco gli articoli della Costituzione che parlano del lavoro.
La Costituzione della Repubblica Italiana
PRINCIPI FONDAMENTALI
Art. 1.
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Art. 4. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
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